DOCUMENTO POLITICO
ABRUZZO PRIDE 2023

Un pride della majella!

L’Abruzzo è Forte, è Gentile, è orgoglioso. 

L’Abruzzo è, pe’ la Majella!

Lo hanno urlato nelle Strade di Stonewall e noi lo ribadiamo: siamo ovunque!

Siamo persone autodeterminate e libere. Secondo la consueta narrazione siamo ancora e soltanto “Gay Pride”, invece affermiamo con orgoglio il nostro essere Pride. Rigettiamo la società patriarcale e maschilista che vuole incasellarci in schemi precostituiti che non ci appartengono, non ci rappresentano.

Siamo persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, asessuali, demisessuali, pansessuali, intersessuali, genderfluid, agender, frocie, monogame, poliamorose, lavoratrici, sex workers, puttane, precarie, disoccupate, antifasciste, atee, religiose, attiviste, drag queen, drag king, performer, giovani, anziane, transfemministe, ambientaliste, in stato di positività, con disabilità, neurodivergenti, non conforming… Siamo un elenco infinito di soggettività che vivono e colorano la molteplice meraviglia della nostra società. Definirci ci rende visibili, definirci ci rende Pride. Lottiamo anche per tutte quelle soggettività ai margini della società, che vivono in un contesto di invisibilizzazione e di Diritti negati. L’Abruzzo Pride è autodeterminazione e lotta, è vita, è libertà in una democrazia antifascista.

Il nostro Pride è Famiglia!
Negli ultimi mesi, il Governo guidato dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha avviato l’ennesima lotta nei confronti delle persone LGBTQIA+ e delle loro famiglie.

Il Sì della Commissione Giustizia all’emendamento per rendere la gestazione per altri reato universale ci fa guardare con preoccupazione allo scenario futuro. In una lotta ideologica che millanta di mettere al centro donne e bambin*, sono proprio quest’ultime soggettività che vedranno minato il principio all’autodeterminazione.

Vogliamo che lo Stato italiano inizi a riflettere e a riconoscere l’attuale, reale situazione sociale e familiare italiana. Allarghiamo il concetto di Famiglia: le nostre famiglie non sono solo le cosiddette “naturali” composte da un padre, una madre e una prole; le nostre famiglie sono arcobaleno, famiglie single, famiglie allargate, famiglie basate su un affetto che possa essere anche amicale, famiglie di persone non legate da rapporti affettivi o omoaffettivi, ma che condividono spazi e quotidianità, famiglie pansessuali.

Le nostre famiglie sono anche elettive, non solo “naturali”. Le nostre famiglie sono anche queer: sono presenti ruoli, ma non sono definiti, esistono responsabilità, ma sono fluide, variabili, interscambiabili e non si passa per i codici del classico Diritto riconosciuto.

Lo Stato abbandoni il solo concetto della famiglia collegato all’accudimento e alla procreazione: inizi a riconoscere diritti e doveri anche alle altre realtà familiari. La Famiglia è infatti un nucleo sociale.

Matrimonio universale!
La riflessione sul nuovo concetto di famiglia ci porta a pensare che l’istituto del matrimonio, nella forma in cui è oggi, non rispecchia e non tutela tutte le costruzioni relazionali e familiari oggi esistenti. Richiediamo pertanto un matrimonio universale che metta al centro tutte le persone coinvolte nella relazione e che garantisca tutti i diritti e doveri legati al voler costruire comunità famigliari.

Le nostre famiglie arcobaleno continuano ad essere per lo Stato italiano delle specifiche formazioni sociali. Vogliamo che le nostre famiglie possano godere degli stessi diritti e delle stesse tutele in campo giuridico, assistenziale, sanitario di cui godono le famiglie cis-etero. Richiediamo il matrimonio universale!

Lì dove vi è il desiderio di genitorialità, risulta ad oggi impossibile accedere all’adozione, alle tecniche di PMA, alla stepchild adoption, riservate attualmente solo alle coppie cisetero. Vogliamo questi diritti per tutte le famiglie e per le persone single.

Vogliamo una Legge che introduca e disciplini anche in Italia la gestazione per altri e per altre (GPA) etica e solidale, che si basi sul pieno rispetto di tutte le persone coinvolte. Basta continuare ad inquinare il dibattito pubblico con fake news.

 

 

Il DDL ZAN era già un compromesso e ne avete riso. Ora basta!

 

Negli ultimi anni si è verificata una netta discesa dell’Italia nella classifica delle nazioni europee che tutelano, riconoscono e garantiscono diritti alle persone LGBTQIA+.

La violenza omolesbobitransafobica continua ad essere un fantasma per chi ci amministra. Continuano a ferirci gli applausi risalenti ad ottobre 2021, mese in cui il DDL contro l’omolesbobitransafobia terminò il suo percorso legislativo in Senato.

Continuiamo a vivere in uno Stato che non riconosce le violenze che subiamo, che non intende riconoscere discriminazioni e violenze in diversi ambienti della nostra vita, uno stato che non vuole combattere le discriminazioni che viviamo. Siamo invece governat*, amministrat* e difes* da persone che invisibilizzano e aggrediscono le soggettività Trans* e queer, che deridono i nostri corpi non conforming, che parlano per noi senza conoscere le nostre istanze e bisogni.

Vogliamo una Legge nazionale contro l’omolesbobitransafobia e contro la violenza basata sull’identità di genere. Vogliamo una Legge giusta: una legge che riconosca le identità Trans*, che riconosca i corpi non conforming, che non lasci indietro nessun*.

Vogliamo che la Regione Abruzzo si adoperi per colmare il divario nazionale, impegnandosi per una Legge regionale contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.

Da oltre un lustro il nucleo primitivo del Coordinamento Abruzzo Pride chiede e sollecita l’elaborazione di una Legge regionale che possa, quanto meno nella nostra Regione, promuovere uno stato di autodeterminazione, Diritti e visibilità per le soggettività e i corpi LGBTQIA+.

Vogliamo che le amministrazioni locali si adoperino per accedere alla Rete RE.A.DY (la Rete italiana delle Regioni, Province Autonome ed Enti Locali impegnati per prevenire, contrastare e superare le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere, anche in chiave intersezionale con gli altri fattori di discriminazione – sesso, disabilità, origine etnica, orientamento religioso, età).

Lì dove il Governo, per giochi ideologici e di potere, trascura e abbandona persone, corpi e soggettività, vogliamo che siano la nostra Regione e le nostre Amministrazioni locali a garantire, almeno in parte, tali Diritti.

Sesso-affettività libera e consapevole.
Il nostro Pride porta con sé una rivoluzione sessuale e sentimentale, lottiamo per una libera affermazione di sé nell’espressione e nel rispetto della propria sfera sessuale e affettiva.

Lottiamo da sempre per una sessualità libera e consapevole. Affermiamo il nostro essere sessuali, parliamo dei nostri corpi e della nostra sessualità libera dagli schemi e dai tabù di una società catto-bigotta. Lo facciamo da sol*, in due, in tre e anche in di più; lo facciamo da puppy, con catene, ma anche attraverso la semplice modalità “missionaria”.

Nei nostri Pride e nella nostra società rivendichiamo la presenza e visibilità della comunità Kinky e BDSM: se al centro dell’esperienza vi sono consapevolezza e rispetto tra tutte le parti coinvolte, anche ciò è rivoluzione. Contemporaneamente, in parallelo, lottiamo per una asessualità libera e consapevole. La libertà sessuale, Diritto che dai moti di Stonewall ha portato avanti le nostre marce, ha portato collateralmente e stereotipicamente a vederci come solo essere sessuali, perdendo di vista il tema degli affetti.

Nella nostra lotta rivendichiamo invece anche il diritto all’affettività, alla asessualità e ai corpi liberi. Il focalizzarci sulla sola sessualità da un lato e l’assenza di un percorso di sessualità e affettività all’interno delle scuole dall’altro, può condurre a una concezione del rapporto sessuale come basato solo sulle dimensioni, sulla performance e sulla mancanza del consenso. Rivendichiamo invece la presenza di relazioni anche solo affettive, senza la componente sessuale. Rifiutiamo pertanto la patologizzazione di tutte le sessualità non convenzionali, degli scambi di potere consensuali e lottiamo contro le discriminazioni che quotidianamente colpiscono chi ha “il coraggio” di ammettere di praticare sessualità non etero-normate.

Nel nostro Pride riconosciamo il lavoro delle persone sex worker, se basato sulla legittima scelta di autodeterminazione, sull’uso professionale delle prestazioni sessuali e del proprio corpo. Rifiutiamo lo stigma che colpisce queste persone, soprattutto se Trans*, donne, migranti o persone non conforming.

194 zoppa e personale medico obiettore. No, pe’ la Majella!
“L’aborto fa parte di una delle libertà delle donne?”

“Purtroppo sì”

A dirlo è stata qualche tempo fa Eugenia Roccella, Ministra delle pari opportunità e la famiglia del Governo Meloni, colei cioè che dovrebbe tutelare i Diritti e le libertà di tutte e tutti.

L’attuale maggioranza di Governo non perde occasione per tornare sull’argomento dell’accesso alle pratiche di interruzione volontaria di gravidanza (IVG) che sono regolate, in Italia, dalle Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, ossia la Legge 194 del 1978.

Una Legge che ha appena compiuto 45 anni, la cui funzione appare ancora oggi confusa, inappropriata, per certi versi zoppa, il più delle volte in una sua parte inapplicata, nell’altra inefficace.

I motivi di tutto ciò sono di natura sia culturale che politica e anche organizzativa.

La regionalizzazione della sanità, con i diversi princìpi di attivazione e applicazione delle direttive ministeriali danno, infatti, luogo a molteplici modalità e possibilità di accesso a quello che dovrebbe essere un Diritto sancito per legge.

La 194 prende le mosse – e trova fondamento e argomenti – da quella che era la situazione che negli anni immediatamente precedenti alla sua emanazione si trovava a vivere l’Italia.

A metà degli anni ‘70, dopo mesi di battaglie e manifestazioni di piazza in cui le donne rivendicavano di essere le ultime (le uniche) a dover decidere e disporre del proprio corpo, si giunse infatti ad una sorta di mediazione politica prima ancora che culturale per la quale l’autonomia della donna veniva connessa e accostata al potere dello Stato di normare, e quindi di controllare, il suo corpo, i suoi comportamenti, il suo destino. Perché questo è il punto nodale di questa legge: a cosa dare più peso, all’autodeterminazione e alla libertà sul proprio corpo della donna incinta o alla vita del nascituro che per sopravvivere ha bisogno di quel corpo? Qui si avvitano le prese di posizione e le azioni della politica tanto più oggi, che c’è in Italia una maggioranza di estrema destra, ma comunque con diversi livelli di interpretazione, da sempre se si pensa al depotenziamento dei consultori, all’obiezione di coscienza, ai finanziamenti dati alle associazioni Pro Vita che piantonano gli ospedali per cercare di ‘convincere’ le donne a non interrompere le gravidanze indesiderate.

Questa costruzione avversariale ineludibile, rappresentata nel celebre “argomento del violinista” ideato dalla filosofa americana Judith Jarvis Thomson nel suo “Una difesa dell’aborto” del 1971, investe la vita delle donne e della comunità, continuamente scosse come sono dai diversi principi, e diritti quindi, messi in campo, fra i quali si inserisce lo Stato che di fatto con la 194 non riconosce il principio di autodeterminazione così come lo avevano pensato e chiesto le donne nello svolgersi del dibattito; né tantomeno la loro capacità di essere responsabili e competenti riguardo al proprio corpo e alla propria esistenza. Per interrompere una gravidanza, infatti si ha bisogno di accedere alle strutture sanitarie, di avere un certificato che testimoni la reale incompatibilità per la propria salute psicofisica, per le proprie condizioni economiche familiari o sociali o per le “circostanze in cui è avvenuto il concepimento”. La 194 cioè quello che riconosce è il Diritto alla propria salute psicofisica, bilanciandolo con quello della tutela del concepito.

In tal senso all’articolo 9 essa prevede che il personale sanitario possa non prendere parte alle procedure per questioni di obiezione di coscienza. Per i singoli è quindi possibile rifiutarsi di eseguire interruzioni di gravidanza.

Ad oggi il tasso di obiezione di coscienza riguardo queste pratiche in Italia è altissimo. Moltissime strutture non forniscono questo servizio e in molte altre la possibilità di trovare un personale medico obiettore si aggira mediamente intorno al 70%. Ci sono strutture in cui si arriva al 100% di obiezione. Persino la possibilità di avere una mappa chiara di queste percentuali e dei luoghi a cui si possono rivolgere le donne che ne hanno bisogno è gravemente compromessa dalla mancanza di dati aperti e aggiornati. Dati che dovrebbero essere un bene comune e dovrebbero rispondere, secondo l’articolo 50 del Codice dell’amministrazione digitale, al principio di open data by default, come appare chiaro consultando il sito https://www.maidati.it/le-mappe/

I dati sull’accesso alle pratiche di IVG e sull’impatto dell’obiezione di coscienza consentita dal suddetto articolo 9 potrebbero essere utili per scegliere, cioè per agire consapevolmente la scelta anche rispetto alle strutture pubbliche di riferimento e soprattutto sarebbero utili per avere le idee chiare sul qui e ora, cioè per avere il senso profondo di quale è il contesto reale in cui viviamo, compiamo scelte, diamo senso alla nostra esistenza.

È chiaro quindi quanto dalla sua approvazione sia stato e sia ancora oggi necessario impegnarsi per la applicazione della 194. E quanto contino le prese di posizione dei decisori politici in tal senso.

 

GPA e adozioni.
Il nostro Pride vuole un confronto serio, approfondito, colto e informato intorno alla cosiddetta Gestazione per altr3, e tutt* noi sappiamo quanto, per affrontare le problematiche connesse alla GPA, la soluzione del divieto universale sia una scorciatoia vana e dannosa. Tra la logica repressiva e autoritaria della legge, e quella selvaggia del libero mercato, c’è il riconoscimento della responsabilità femminile. Bisogna dirlo con forza, non si possono per l’ennesima volta utilizzare i corpi delle donne come attraversamento, come luogo pubblico usato per ingenerare una guerra fatta di bassezze, utilizzo colpevole di retorica vittimistica o volta a insinuare sensi di colpa o giudizio su sé stess*. Ci troviamo di fronte cioè all’imprescindibile necessità di tutelare la dignità di tutte le persone coinvolte.

 

Tra i due estremi del mito dell’individuo liberale proprietario di sé e della prescrizione paternalista di un bene superiore delle donne, bisogna aprire una riflessione sull’autodeterminazione femminile, per esprimerla anche in termini di norme giuridiche.

Ancora una volta il dibattito sulla gestazione per altri e per altre si è riaperto nel nostro Paese – dove è vietata – in relazione alla possibilità di riconoscere i diritti delle bambine e dei bambini figli di coppie omogenitoriali.

È stata emessa una circolare del Ministero degli Interni che, di fatto, ha interrotto nei Comuni la trascrizione degli atti di nascita, e contestualmente c’è stato il voto del Senato contro il riconoscimento delle figlie e dei figli delle coppie dello stesso sesso in tutta Europa: un parere negativo che la maggioranza di Destra ha dato al regolamento europeo finalizzato a istituire un certificato europeo di filiazione.

Tutto muovendo dalla più o meno manifesta intenzione di mettere in discussione (senza una vera discussione intorno agli argomenti che solleva) della GPA. Per farla diventare uno spauracchio che divide, e non un argomento di cui discutere. Un passo indietro in tanti Comuni, un muro alzato nei confronti di famiglie che tali sono all’estero e che qui non si vedono riconosciute, con un gravissimo danno per i diritti dei e delle minori, a cui viene negato il diritto ad una vita familiare serena. La destra, ottusamente, non riconosce queste famiglie, non pensa di togliere ai bimbi e alle bimbe un genitore, che a loro non pare tale per assenza di relazione biologica.

Diciamolo chiaramente: l’emergenza in Italia è il mancato riconoscimento dei Diritti di una parte dei suoi cittadini e cittadine, quei bambini e quelle bambine senza voce e senza diritti che sono i figli e le figlie delle Famiglie Arcobaleno.

Con forza gridiamo e ancora di più torniamo a dire che non servono appelli, ma un dibattito aperto che guardi alla tutela dei bambini e delle bambine. Non ce ne facciamo niente di ‘femministe’ che di fatto sposano posizioni vessatorie e discriminatorie sulla base del nulla. Di un fantomatico “far west riproduttivo” a cui taluni facevano riferimento anche quando in Italia si è provato ad abrogare la brutta Legge 40. Dobbiamo parlarne, parlarci, senza infingimenti, senza temere il conflitto.

Noi il conflitto lo agiamo scendendo in piazza, vivendo a pieno il nostro orgoglio colorato. Non sottraendoci al confronto, con serietà e serenità.

 

Vogliamo una riformulazione della Legge 164!
Chiediamo una completa revisione dell’ormai obsoleta Legge n. 164/1982, la quale oggi regola i percorsi di affermazione di genere.

 

A distanza di oltre 40 anni dall’approvazione di una Legge che per quei tempi ci pose all’avanguardia, ma che oggi dev’essere assolutamente aggiornata, in ambito legislativo si dovrebbe radicalmente ripensare alla realtà delle persone trans* e dei loro corpi sulla base delle più recenti evoluzioni in ambito scientifico. Dal 2018, infatti, la condizione di incongruenza tra sesso assegnato alla nascita e genere esperito e vissuto a livello sociale è stata pienamente depatologizzata in ambito psicologico internazionale (si vedano gli aggiornamenti delle linee guida contenute nell’ICD-11 e nel DSM V).

Non ha senso, pertanto, continuare ad imporre diagnosi patologizzanti di “disforia” , né tantomeno requisiti medici irrispettosi della dignità della persona e della libertà di scelta individuale in ambito sanitario, quali condizioni imprescindibili per poter ottenere il riconoscimento legale del proprio nome e genere di elezione. Per non parlare del notevole aggravio in termini di tempi e costi che deriva dall’obbligo per le persone interessate di sottoporsi ad un invasivo iter giudiziario, dal quale peraltro sono escluse tutte le soggettività non binarie, e coloro che hanno optato per percorsi di affermazione non medicalizzati.

Chiediamo un completo superamento del meccanismo di istanza-autorizzazione che contraddistingue la Legge 164, per far sì che la parola definitiva sul genere di ciascun* provenga esclusivamente dalla libera ed autodeterminata volontà dell’interessat*, senza ingerenze da parte di soggetti oppure autorità esterne.

 

Autodeterminazione e decostruzione della scala mobile relazionale.

La scala mobile relazionale è un modello sociale fondato su precise norme e convenzioni che da sempre influenza, anche in maniera negativa, il nostro modo di vivere e percepire le relazioni interpersonali e che, senza che ce ne rendiamo conto, può portarci a viverle in modo meno libero e autentico.

Il nostro Pride vuole rimettere al centro il valore dell’autodeterminazione anche in quelle che sono scelte che non riteniamo debbano essere obbligatorie, come quelle di sposarsi, generare prole, chiudersi in monadi relazionali che spesso isolano le persone dai loro contesti di vita e di crescita. Nel nome di una conformità sociale che troppo spesso ci chiede più di diventare consumatori attivi e consumatrici attive che cittadin* felici.

Il nostro Pride vuole riportare in auge il valore dell’amicizia, delle amicizie che sono quella rete di sicurezza in cui in molte occasioni tant* di noi hanno potuto trovare conforto, rassicurazione, riparo: in una parola sola casa. L’amicizia oggi è vissuta come esperienza totalmente privata e residuale, secondaria rispetto al più importante dettame normativo lavoro-famiglia (rigorosamente monogamo, romantico ed eterosessuale) e per questo relegata a parentesi di svago e tempo libero. Mentre invece è un luogo di relazione lontano dall’essere un campo vuoto e mite, anche se derubricato a momento sociale utile a finalizzare le proprie esperienze che invece “devono” rispettare i gradini della scala mobile relazionale che per noi rappresenta, oramai, uno strumento che genera disagio, discriminazione e giudizio.

Sosteniamo quindi tutta quella riflessione che, a partire da Foucault, interroga le forme di vita LGBTQIA+ che, in aperto conflitto rispetto alla coppia eterosessuale, fanno della scelta relazionale un operatore di cambiamento dell’esistenza nel senso dell’alterità e della molteplicità.

Tutela dell’ambiente e degli animali.
Oltre all’antifascismo, alla lotta contro patriarcato, sessismo, razzismo e abilismo, riteniamo importante anche difendere gli animali soggetti a marginalizzazione e ad un sistema spesso oppressivo nei loro confronti.

Le nostre sono lotte intersezionali e possiamo, dobbiamo includere anche chi non ha voce e/o non può difendersi. Siamo contro lo sfruttamento degli animali nei circhi, sradicati dai propri habitat naturali e costretti, con vessazioni e vere proprie torture, a umilianti performance. Riteniamo raccapriccianti e insostenibili gli allevamenti intensivi. Ci schieriamo contro l’anacronistica pratica della caccia: creature innocenti come uccellini, cerbiatti e volpi che vengono uccise per puro passatempo. Così come non occorre far parte della comunità LGBTQIA+ per rivendicarne le istanze, non bisogna essere necessariamente una donna per lottare contro maschilismo e sessismo, una persona afrodiscendente per contrastare il razzismo, una persona con disabilità per sostenere chi ne ha una, un animale per difendere i Diritti appartenenti ad un’altra specie.

La Pace pe’ la Majella!
Continuiamo a spenderci, impegnandoci come movimento e soggettività, nel promuovere la diffusione di una cultura basata sull’ascolto, sul confronto, sul rispetto, sull’inclusione, secondo quel principio di uguaglianza che è alla base di un’autentica giustizia sociale.

Riteniamo, infatti, che riconoscere pari dignità alle singole soggettività, nelle loro unicità, significhi garantire quel principio di autodeterminazione che, per estensione, equivale a rispettare il fondamentale principio di autodeterminazione dei popoli.

Un principio, oggi, brutalmente calpestato in troppi paesi del mondo e a poche centinaia di km da noi, nella nuova Europa di tutt* che fa, del superamento stesso dei confini tra Stati, un segno di prossimità. È necessario contribuire ad una sempre maggiore promozione della cultura del rispetto reciproco e dell’inclusione, che sono culture di pace e di accoglienza dell’alterità.

Diritto al futuro!
Lottiamo per essere chi siamo, per poter essere chi desideriamo. Esistiamo e R-Esistiamo.

Vogliamo costruire esistenze incentrate su solidarietà, equità, speranza e fiducia nell’avvenire.

Vogliamo rimuovere ostacoli, abbattere il muro dei pregiudizi, sradicare paure, mettere a tacere timori.

Rivendichiamo il nostro Diritto al futuro.

Siamo orgogliosamente Pride!

Attraversa l’Abruzzo con noi, con la tua voglia di libertà e di autodeterminazione, pe’ la Majella!

 

 

Coordinamento Abruzzo Pride

Arcigay Chieti Sylvia Rivera
Arcigay «Massimo Consoli» L’Aquila
Arcigay Teramo
Jonathan – Diritti in Movimento
Marsica LGBT
Mazì – Arcigay Pescara
Presenza Femminista